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Ricordando Kyoto

Kyomizu-dera

Volevo parlarvi della magia di Kyoto, ma da che sono tornata le giornate sono trascorse così convulsamente che non ho avuto tempo di scrivere neppure la metà delle cose che mi sono passate per la testa, e certo non il tempo di cercare le parole per emozioni così intense come quelle che ho vissuto in Giappone.

Riordino le foto, quelle tremila immagini che ho scattato nella speranza di fermare attimi che non voglio dimenticare. E mentre le immagini scorrono dinanzi ai miei occhi, eccomi di nuovo la mattina a colazione da Starbucks vicino alla Kyoto Station e alla fermata degli autobus, davanti agli orari di linee diverse che bene non si capisce dove si fermino, con quegli ideogrammi che non sempre vengono tradotti in caratteri occidentali… Kyoto mi aspetta con l’orizzonte gonfio di pioggia, e l’aria impregnata di umidità si appiccica alla pelle rimanendo poi a gocciolare lungo il corpo quando le nuvole si spaccano sul cielo invaso di sole e d’azzurro. Piccoli altari scintoisti fanno capolino in mezzo ai palazzi, e templi bellissimi ci accolgono con parchi rigogliosi e giardini zen dove lo sguardo si placa nella contemplazione dell’infinito.

Imagination, imagination – ci ha detto un giorno una gentile signora giapponese, portandosi la mano alla mente e al cuore. Mente e cuore, imagination, sembrano un tutt’uno armonico, così distante dalla rigida demarcazione cui sono abituata. E quest’armonia pervade tutta la cultura giapponese, come insegnano le costruzioni di legno su più piani che si integrano perfettamente nel paesaggio e si flettono alla forza della natura, assecondandola senza opporre resistenza. E la mostrano i giardini, perfettamente curati eppure asimmetrici, regolati secondo criteri non razionali, come se fossero sorti spontaneamente.

Il verde tenero e intenso dei parchi è il colore di Kyoto, insieme al rosso carico dei torii che demarcano l’ingresso dei santuari scintoisti. Poi ci sono le lanterne illuminate, i taxi con l’insegna a cuore, Gion con le sue tante luci, il santuario di Yasaka tinto come un Arlecchino pensoso, i ristoranti tradizionali affacciati sul canale e i vicoli che il tempo ha lasciato pressoché inalterati. C’è la torre di Kyoto, anonima di giorno eppure così affascinante quando cala la sera e rimane a stagliarsi bianca contro un cielo che vira allo scuro, gettando il suo sguardo sulla avveniristica stazione, aerea costruzione di vetro. E ancora, i padiglioni d’oro e d’argento, che si richiamano da un lato all’altro della città, il tempio di Kannon che ospita mille e una statue dorate della divinità buddhista della misericordia, raffigurata con 40 braccia ognuna in grado di salvare 25 mondi (talché idealmente vengono a rappresentare mille braccia) e il Kyomizu-dera bello da togliere il fiato, affacciato a strapiombo sulla città.

C’è talmente tanto da vedere in Kyoto che una settimana è bastata appena per assaggiarne la magia e portare a casa il desiderio di tornarvi presto. Tutto il mio viaggio in Giappone è stato documentato pazientemente su un taccuino, scritto la sera prima di addormentarmi (e talvolta persino addormentandomi con la penna in mano, le ultime righe tracciate via via sempre più stentatamente), parole e parole che un giorno forse trascriverò in digitale. E quando avrò finito di trascriverle, allora sarà il momento di partire ancora.

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2 Responses to “Ricordando Kyoto”

  1. Non vedo l’ora di leggere quello che hai scritto su quei taccuini. Il senso del viaggio – io penso – è proprio in quella fatica creativa e vitale che ti spingeva comunque a scrivere, tracciare segni, raccontare impressioni e riflessioni. Ma forse è giusto che tu lo tenga per te, perché il viaggio è sempre un viaggio all’interno di se stessi, anche se gli orizzonti cambiano e il corpo si muove.
    V

  2. La Marti says:

    Viste le foto. Stupende!

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