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Il giocatore invisibile

di Giuseppe Pontiggia

Il giocatore invisibile Sullo sfondo di una Milano anni Settata, dove l’odierno centro quasi è periferia, Pontiggia colloca il suo romanzo all’interno di un ambiente di professori universitari venato da rivalità sotterranee. La pubblicazione su una rivista letteraria di una lettera denigratoria che accusa il Professore di non conoscere l’etimologia corretta della parola ipocrita scoppia come un caso di cui bisbigliare nei corridoi fra le aule, e sul quale interrogarsi: chi sarà l’autore dell’anonimo attacco?

L’episodio, in apparenza minimale, incrina la tronfia sicurezza del Professore (protagonista marcatamente anonimo per tutto il romanzo), portandolo a riflettere non solo sul misterioso rivale, ma anche – in un crescendo di dubbi esistenziali – sul proprio matrimonio e sulla vita stessa.

Mirabile la scena in cui il Professore passa all’epidiascopio la lettera per soffermarsi attentamente sulla singola parola, soppesandone le implicazioni e escludendo i presunti autori sulla base dell’utilizzo dei singoli termini.

Il giocatore invisibile è anche una metafora dell’uomo di fronte a se stesso, e la trama diventa pretesto per una lunga riflessione sull’amore e sulla vita. Sulla vita e non sulla morte, sebbene a quest’ultima sia dedicato un intenso e breve capitolo. La morte infatti vi è vista come elusione della vita, quindi risvolto della riflessione sulla vita stessa.

Pontiggia manovra abilmente le parole con l’esattezza millimetrica di un chirurgo, con il compiacimento di chi sa che il gioco che sta conducendo è di quelli che solo gli addetti ai lavori possono gustare fino in fondo. Attraverso il suo tocco esperto, la parola diventa capace di scardinare l’universo, di insinuare il dubbio, di sconvolgere la vita.

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