Leggo una recensione, parla di un libro zeppo di poesie e di canzoni, che forse è un po’ la stessa cosa. Parla di autori a me cari, di cantautori e di altri che non ho mai sentito nominare o che non ho mai voluto ascoltare.
Parla anche di una canzone che ho conosciuto solo nell’interpretazione approssimativa di mia nonna, che la canticchiava con inflessioni stonate da farla sembrare un tutt’uno con il Piave mormorava la bella Gigugin come pioveva ma se ghe pensu…
Signorinella pallida, in quei brindisi coi bicchieri colmi d’acqua una lacrima ora si affaccia nell’incavo dell’occhio e guarda giù: lo scivolo della guancia forse incute una certa soggezione e grave si ritira in umido sfavillio.
Sarà perché mia mamma aveva l’età che ho io adesso, con il grembiule a fiori gialli preparava la torta con crema e panna per i miei quattro anni, e la cucina era quella di prima, con i piani da lavoro in formica e la vecchia poltrona rossa in un angolo, e mia nonna che lavorava a maglia con le calze di lana grigia a difesa di sé contro il primo freddo.
Così mio nonno si chiamava Cesare, ma non era di Napoli né faceva il notaio, e neppure l’ho conosciuto. Ma nella mia immaginazione allora portava anche lui il mantello a ruota.
..cesare.. è un bel nome.. m’ispira forza.. e non per via di giulio.. – immagino tua nonna sai.. su quella poltrona rossa.. che bell’immagine di pace.. – buona domenica ale – baci