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Il gioco del mondo

di Julio Cortazar

Il gioco del mondo, Julio CortazarParliamo del libro più interessante che mi sia capitato di leggere quest’anno, e uno dei più interessanti nella mia carriera di “lettrice”: Il gioco del Mondo, che ho letto, divorato, sfogliato, riletto, sottolineato, appuntato fino a ridurlo a un insieme di pagine scalcagnate.

Il gioco del mondo si lascia leggere dal primo capitolo al capitolo 56, diviso in due parti non del tutto simmetriche: dall’altra parte, ovvero a Parigi, sono ambientati i primi capitoli dedicati alla fine della storia fra Horacio Oliveira e Lucia (la Maga); da questa parte, ovvero a Buenos Aires, è ambientata la storia del ritorno di Oliveira in patria.

Arrivati al capitolo 56, si può decidere di abbandonare il libro (in tal caso si avrà letto una storia poetica e surreale) oppure di proseguire con l’ordinamento suggerito dall’autore. Comincia allora una rincorsa su e già per il libro, iniziando dal capitolo 73 e proseguendo con l’1 e così via. La storia si arricchisce di riflessioni, elementi che erano già presenti ma come in secondo piano si scoprono essenziali: la trama sfuma in un gioco di specchi, doppi, simboli, mediatori che accendono i riflettori sulla incomunicabilità, sulla distanza fra essere e poter essere (o essere-pensare, o realtà-sogno…), sull’assurdità del quotidiano, sulla necessità di vedere senza occhiali, vedere ad occhi chiusi, rompere con le convenzioni per cui una vite è una vite e per cui il linguaggio forma la realtà, ovvero la conforma.

Moltissimi i simboli ricorrenti: il ponte o punto di passaggio fra due realtà (due mondi, due esseri, o due modi di essere), esplicitato nel passaggio fra Europa e America, nelle tavole sospese fra la finestra di Oliveira e la finestra di Traveler, nell’apertura del tendone da circo e nel buco del montacarichi nel manicomio, ma profilato in altri momenti fino a incarnarsi nella figura della Maga prima e di Talita poi, ponti medianici di ricongiunzione fra sé e sé e fra sè e l’altro. Elemento ricorrente è anche la figura del doppio: Maga-Talita, Oliveira-Traveler, ma anche Oliveira stesso è un personaggio doppio, sospeso fra una parte e l’altra (dove Traveler è Oliveira stesso come avrebbe potuto essere se fosse rimasto da questa parte, se solo avesse avuto un po’ meno immaginazione). In questo contesto le “parti” in cui è suddiviso il libro assumono un significato profondo che rimanda da un lato al mondo quotidiano, concreto (da questa parte), dall’altro lato al mondo-Maga, il mondo irreale ma non per questo meno vero dove Oliveira è rimasto intrappolato (dall’altra parte), mentre da altre parti sono i labili elementi di congiunzione tra i due mondi (elementi di un ponte che non c’è, dal momento che – come noterà Oliveira – il mondo del sogno non si unisce al mondo reale).

Il linguaggio stesso è ponte imperfetto, canale di comunicazione difettoso. Oliveira e Traveler riescono ad instaurare un canale di comunicazione bidirezionale solo in situazioni estreme e per brevi momenti: il linguaggio non è la forma espressiva adatta a comunicare l’essenza. D’altronde, la conoscenza non è lo strumento adatto a raggiungere il sapere, come si renderà conto Oliveira attraverso la presenza della Maga (o meglio, attraverso la sua assenza, dal momento che le intuizioni di Oliveira sono successive alla loro separazione). Anche l’assenza è un ponte simbolico: attraverso l’assenza Oliveira entra gradualmente nel mondo-Maga, quel mondo dove l’essere sostituisce il pensare. Tu credi di trovarti in questa stanza, ma non ci sei.  Tu stai guardando la stanza, non sei nella stanza, aveva detto la Maga ad Oliveira nei giorni parigini. Lasciando Parigi e tornando da questa parte Oliveira vi torna infatti con occhi diversi.

Per quanto numerosissimi in tutto il libro, gli elementi simbolici sono spesso disseminati in maniera inconsapevole dall’autore. In un’intervista compresa all’interno dell’edizione Einaudi, Cortazar rivela di non essersi accorto della presenza del tema del doppelganger se non nel momento in cui gli è stato fatto notare; allo stesso modo, molte interpretazioni hanno messo in luce aspetti che nel momento in cui veniva scrivendo non erano così palesi neppure ai suoi occhi. Cortazar racconta inoltre di aver scritto Il gioco del mondo in maniera spontanea e di aver creato a posteriori l’ordinamento dei capitoli. Forse per questo il libro si presta ad essere letto anche in maniera “disordinata”, saltando a piacere qua e là (e il gioco del mondo stesso ha valenza simbolica, rimandando al passaggio da una parte all’altra).

Capolavoro del Novecento ingiustamente meno noto di altri, Il gioco del mondo offre molteplici spunti di riflessione e invoglia alla rilettura, dischiudendo ogni volta nuovi dettagli a prima vista inosservati.

 

 

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One Response to “Il gioco del mondo”

  1. monia says:

    oooh ale.. spesso penso che mi piacerebbe leggere di più.. vado a periodi.. e riprendo.. settimana prossima.. con una nuova luna.. in tutti sensi.. – un bacio ma belle

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