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The Grand Circle

Canyonlands

Quando l’aereo sta per atterrare, vicinissimo appare il profilo della Strip, con gli hotel che la rendono inconfondibile e un guizzo di emozione mi elettrizza: Las Vegas è eccessiva, kitch, volgare, brutta forse, ma riesce ad esercitare un fascino maliardo anche su chi  – come me – non ama il gioco.

Las Vegas e le sue finte strade riparate da cieli di cartongesso, le luci colorate e il lusso dozzinale, quest’anno sono la promessa e l’approdo di un itinerario sognato da lungo tempo: il Grand Circle, un percorso circolare che tocca i parchi rossi ed infuocati dell’Ovest americano.

Le strade poco battute, le distese deserte e un cielo che sembra abbracciare l’infinito sono i compagni di viaggio fra un piccolo centro abitato e l’altro. Non è l’America dei grattacieli, ma quella delle piane attraversate da un’unica strada, talvolta sterrata, e della natura che detta le regole con rovesci di pioggia violenti e afa che strozza il respiro. L’acqua e il vento hanno scavato paesaggi surreali nella terra sabbiosa che si estende per buona parte dello Utah e sconfina in Arizona.

Zion fà da apripista con le sue rocce rosse che sovrastano il verde del canyon: salire a piedi lungo i 650 metri che separano il fondovalle dal “tetto del canyon” è la prima conquista di questo viaggio.

Bryce Canyon ci accoglie nel suo regno fatato di pinnacoli alti come palazzi, che cambiano colore al passaggio del sole. La voce tenue del vento nell’anfiteatro di pietra illuminato dalla luna è un ricordo inusuale di Bryce, più inaspettato del sole che si leva e inonda d’arancio gli hoodoos.

Capitol Reef è una rivelazione: snobbato da molti, troppo vicino a parchi più noti e blasonati, appare come una roccaforte difesa da falangi di pietra. Le sue rocce dall’apparenza minacciosa sono in realtà costituite da sabbia. Oasi verdissime fanno contrasto con il rosso cupo della pietra, creando un panorama che non ha uguali.

Una sosta nella Goblin Valley ci consente di passeggiare fra le casette di pietra degli gnomi, prima di arrivare ad una delle zone più suggestive e lunari dell’Ovest: Canyonlands, dove la terra arida è spaccata da corsi d’acqua che la incidono come ferite. L’aria è così tersa che lo sguardo sembra potersi spingere oltre la linea dell’orizzonte.

Gli archi rossi di Arches sono opera di un architetto burlone, che si è divertito a ergerli in punti difficilmente accessibili: ammirare il Delicate Arch al tramonto è una conquista, un premio, una vittoria.

Ma nulla simboleggia il leggendario Ovest dei cowboy come la Monument Valley: la vediamo ergersi in lontananza da Muley Point, ci avviciniamo lentamente lungo la strada dove Forrest Gump terminò la sua corsa, per approdare nel  cuore dove – a dispetto dei numerosi turisti – nulla sembra essere mutato. Il sole che spunta dietro i Mittens è uno dei momenti magici di questo viaggio.

Entriamo in Arizona per inoltrarci nei meandri degli Antelope Canyon, due slot canyon dalle pareti tortuose che creano spettacolari giochi di forme e di luce.

Salutiamo il Gran Canyon passandoci accanto e ci dirigiamo verso la bella Sedona, nota ai seguaci delle filosofie New Age per essere uno dei punti di energia della terra. La straordinarietà delle sue rocce si rivela al tramonto, quando attraversano tutte le tonalità del rosso e dell’oro.

Il cerchio di chiude sulla Route 66, la mother road ancora celebrata nei minuscoli paesi che la costeggiano. Fra questo Oatman è il più particolare, una città fantasma che si rifiuta di morire e fra i cui abitanti sono più numerosi i muli delle persone.

L’ultimo tratto di strada che ci riporta a Las Vegas è lo spaccato di una America che vive ai margini della prosperità e le cui abitazioni sono roulotte o prefabbricati, lontana dall’idea stereotipata del “sogno americano”. Così come Las Vegas non è soltanto la Strip, e spingersi un poco verso la zona del downtown ne rivela i contrasti.

Là dove era iniziato si chiude così il grande cerchio: un viaggio dove comunque il fattore “umano” è pesato poco, rispetto ad una natura che ha giocato da padrona, sbalordendoci con la sua potenza e la sua maestosità.

 

* Agosto 2013

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