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Con Damasco nel cuore

Damasco Dieci giorni per percorrere Siria e Giordania pressappoco da un capo all’altro non sono molti, tanto più considerando il tempo impiegato per gli spostamenti aerei. Così sono stati giorni fitti fitti di emozioni, colori, odori, sensazioni e sorrisi che si sono accumulati l’uno sull’altro sedimentando uno strato di ricordi rigogliosi.

Nel partire, le mie aspettative erano tutte concentrate su Petra, eppure nonostante la magnificenza e straordinarietà della città rosa nascosta nella roccia, fra tutti i luoghi di questo viaggio è Damasco quello che più a fondo mi è entrato nel cuore.

Damasco, per le viuzze strette da basse case squinternate, pietre slavate che nascondono altri tempi, rampicanti che velano e svelano un cielo di maiolica azzurra. Damasco con le sue contraddizioni: gli occhi scuri che scrutano a lungo i riccioli scoperti, le donne velate dagli sguardi pesantemente truccati e gli alti tacchi che ondeggiano sotto sciancrati cappotti, il profumo delle spezie del pane e di dolci intrisi di miele, i colori di un suq quieto dove i negozianti non assaltano i turisti, le macchine che veloci scansano i pedoni in vie troppo anguste e senza marciapiede.

Invece Palmira ti sorprende per l’ocra delle sue colonne, che alla luce del mezzogiorno assumono riflessi dorati. Intorno, il deserto si allunga in ogni direzione, interrotto soltanto dalla macchia scura di palme che da secoli tramandano la tradizione di un nome.

E ancora deserto, un deserto dai colori più caldi, è quello che circonda la misteriosa Petra, preceduta dal Wadi Mujib, un ampio canyon lungo le cui pareti la strada si snoda con grandi tornanti, scendendo e risalendo come in un gigantesco luna park.

Petra e lo spettacolo di imponenti facciate intagliate nella roccia che ripaga di ogni fatica, dei due kilometri di cammino all’interno di una fenditura profonda che sembra aprirsi e richiudersi al tuo passaggio, dei 600 scalini che portano all’altare del sacrificio e pure degli 800 interminabili che conducono al Monastero… I beduini intanto si affaccendano intorno alle loro poche cose e ti guardano con i loro occhi listati di nero, occhi fondi e fieri, soprattutto quelli delle donne che schivano le fotografie.

E di nuovo deserto, quello che ci accompagna all’estremo sud della Giordania, il Wadi Rum che già Lawrence d’Arabia percorse: dune di sabbia morbida e calda, interrotte soltanto da brusche formazioni rocciose che si stagliano rossastre contro un infinito di cobalto. In mezzo al deserto lo vedi che siamo solo briciole posate sulla punta delle dita dell’Universo, e lo senti il respiro dell’Universo che solleva la polvere per lasciarla ricadere qualche passo più in là. In mezzo al deserto il cielo è immenso, la sua volta corre dietro a profili indistinti di brevi monti sfumati dalla distanza. Il sole avvicinandosi all’orizzonte si incendia e brucia, si consuma rapidamente e svanisce dalla vista. Il buio sopraggiunge repentino.

La storia calca orme romane anche a Jerash, e questa volta è il bianco della pietra a completare la tavolozza di sfumature delle rocce.

Così, con gli occhi colmi di colore rivedo Damasco e quasi mi pare di essere tornata a casa. Passeggiamo la sera fra le sporadiche luci di negozietti attardati nell’apertura e le luminarie che forse ricordano una festività cristiana o forse soltanto rianimano i rampicanti secchi, rimedio moderno ai mali di stagione. Quelle luminarie che in fondo sembrano messe apposta per noi, per salutare il nostro passaggio: di noi che arriviamo, di noi che partiamo.

Nota tecnica

L’itinerario in Siria e Giordania è stato il seguente: Damasco (SYR) > Maalula (SYR) > Crac de Chevaliers (SYR) > Palmira (SYR) > Bosra (SYR) > Mar Morto (JOR) > Monte Nebo (JOR) > Madaba (JOR) > Wadi Mujib (JOR) > Petra (JOR) > Wadi Rum (JOR) > Amman (JOR) > Jerash v > Damasco (SYR).

Un giorno, più o meno vicino e lontano, ci sarà un album di foto, ci saranno didascalie e descrizioni. Per ora c’è qualche foto su Flickr, e qualcuna di più su Facebook.

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