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Homage to Kathmandu

La prima cosa sono i colori brillanti, e un frastuono indiavolato di clacson su strade zoppicanti: Kathmandu invade i sensi  scompigliandoli tutti, mescolando la vista l’udito e l’olfatto, per donare nel gusto del coriandolo e delle spezie l’esatto sapore d’Oriente.

Nepal, Kathmandu    Nepal, Kathmandu Nepal

Camminare zigzagando fra auto, moto, motorini, che strombazzano schivandoti indifferentemente a destra o a sinistra, quasi incuranti del senso della guida, è un’esperienza frustrante che però rimpiango ora che sono tornata nell’ordine tranquillo delle mie strade disseminate di segnaletica.

I richiami degli ambulanti, che ti seguono mostrandoti questo o quel pezzo di chincaglieria che a casa rimpiangerò di non aver comprato, soltanto per portare con me quanto più possibile di quel mondo colorato e bizzarro. Ma sorridono, tutti, anche quelli che di denti in bocca ne hanno ormai pochi, e il loro sorriso è contagioso, loro che continuano a sorridere anche se non comperi niente.

E i bambini, che ti girano appresso chiedendo money, euro, e ti guardano con gli occhi ammaestrati dal turismo di massa: ma molto più belli i bambini egualmente cenciosi che ti rincorrono solo per chiedere italiano? con il volto attraversato da un arcobaleno di gioia e stupore, mentre fissano curiosi l’obiettivo della macchina fotografica.

E i cani, magri e riversi per la calura del giorno, o rassegnati nel grattarsi via le zecche, trotterellanti per le strade e nei cortili. Silenziosi ed esausti durante il giorno, latrano animati nel silenzio della notte fresca. Le scimmie si inseguono sugli alberi e sui gradini dei templi, ci guardano con quel loro sguardo imbronciato, fanno versacci e boccacce, e le fronde stormiscono al loro passaggio. Qualche rara mucca con lo sguardo fisso davanti a sè arranca frastornata nel traffico delle strade, o pascola placida lungo le rive melmose del Bagmati, fiume sacro per gli hindu e per gli occhi occidentali ricettacolo di germi e sporcizia.

E lungo il fiume il tempio più bello, quello il cui ingresso è negato ai profani, quel Pashupatinath che guardo da lontano, sospesa fra la meraviglia estatica davanti alle costruzioni e il violento odore che si leva dalle pire, dove più cadaveri stanno bruciando. E tutto intorno una folla di fedeli e di curiosi, di turisti e di devoti, di venditori ambulanti e di accattoni, di sedicenti santoni cosparsi di cenere o drappeggiati di arancione, che si nascondono dietro la mano o il tridente per non farsi fotografare, a meno di non pagare il pegno di qualche rupia. E più inquietante di tutti, una caricatura vivente del dio scimmia si aggira scuotendo una latta con poche monete.

Nepal, Kathmandu   Nepal, Kathmandu  Nepal, Kathmandu

La nostra “Piazza Castello” è una Durbar Square infinita, punteggiata di templi a pagoda, e colonne su cui troneggiano gli dei: Patan, Bakthapur, e Kathmandu racchiudono nel loro abbraccio sconnesso questo antico tesoro, e passeggiamo fra le bancarelle, i venditori di balsamo di tigre e le anziane donne che intrecciano collane di fiori e vendono ortaggi poggiati a terra su un vecchio lenzuolo.

Quelle donne che portano grandi anfore di metallo, e vanno a prendere l’acqua, circondate dai bambini; quelle donne che si lavano in un catino, davanti all’uscio di casa per permettere alla luce del giorno di rischiarare l’interno; quelle donne che vestono di sari colorati, sgargianti come un sorriso che rallegra la giornata. Rosso, rosa, azzurro, verde, giallo: i colori più intensi si stagliano sui mattoni e sulle facciate grigie delle case. 

E qui e là andando per strada ti imbatti in un piccolo tempio, in mezzo a rifiuti e misere costruzioni c’è una pausa di devozione, un minuscolo altarino dove brucia l’incenso, dove polvere rossa è esposta al gesto devoto dei fedeli che vi intingono le dita per segnarsi la fronte.

Quanto più mi piace la calma e il silenzio intorno a uno stupa Buddhista, e fra tutti Bodnath, lo stupa più grande, quella cupola bianca che racchiude vecchie reliquie di chissà quale Lama: passeggiamo tre volte in senso orario intorno allo stupa, e giriamo i mulinelli delle preghiere fra i monaci vestiti di rosso.

E poi ancora colori: quelli sbiaditi delle bandiere coperte di preghiere, che sventolano dalla sommità degli stupa, e i colori smaltati delle marionette vendute sulle piazze, e poi i colori dipinti dei thanka, con tratti sottili definiti e l’oro che illumina i contorni del mandala.

Nepal, Bodnath  Nepal, Kathmandu

Quando scende la sera, è una sera buia che assomiglia alla notte: non tutte le case hanno luce dal generatore, e la città si corica presto, tranquilla e silenziosa, mentre non più lo strombazzare di auto ferisce l’aria, e nè schiamazzi o altri suoni se non l’ululare dei cani.
Ti guardo ancora dall’alto, respiro quest’aria che sa di incenso e rifiuti invecchiati all’aperto: chiudo gli occhi e ti vedo, caleidoscopio di forme che si mescolano e si fondono, ed infine si spengono nella tenue luce di una candela quando la corrente è mancata.

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One Response to “Homage to Kathmandu”

  1. matris says:

    bella questa katmandu, da come la racconti, sembra di esserci sempre stati

    ciao mao

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