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Istanbul così

Di tante immagini e ricordi dei tre giorni trascorsi ad Istanbul nell’estate del 2008, una soprattutto si era impressa nei miei occhi come un arrivederci, la promessa di un ritorno: le luci di Sultanhamet che si accendono al tramonto, dall’alto della torre di Galata, la sera prima di partire. Lì avevo pensato che a Fra sarebbe piaciuta Istanbul, lì avevo pensato che presto o tardi sarei tornata.

Sebbene il pensiero di un week end nella città sospesa fra Oriente e Occidente mi abbia accompagnato da allora, soltanto per il Primo Maggio di quest’anno finalmente abbiamo prenotato qualche giorno ad Istanbul: dal venerdì sera (notte) al mercoledì mattina, non troppo ma neppure troppo poco. A dire il vero, pensavo di riuscire a vedere molto di più in 4 giorni, cogliere alcune cose tralasciate nella prima visita… Invece la moltitudine di turisti presenti in città per il ponte ha rallentato ogni spostamento, pur senza impedire che ci innamorassimo di ogni angolo visitato. Tanto che siamo ripartiti con la voglia di tornare ancora: Istanbul è così, ti sorprende, ti ammalia, e mentre la saluti già pensi a quando vi farai ritorno. Ma procediamo con ordine.

Ho scelto di tornare nel medesimo hotel per via della posizione assolutamente strategica, dietro piazza Taksim, il cuore moderno della Istanbul Europea. Se di giorno Sultanhamet è il posto dove vorresti essere, di sera sicuramente è Taksim e le vie che dalla piazza si dipartono a diventare il fulcro della vita cittadina. Persino nelle tiepide serate di inizio maggio tutta la zona pullula di animazione, negozi aperti fino a tardi, gente a passeggio, artisti di strada, una miriade di ristoranti e locali.

Appena arrivati, ho ricordato con piacere come passeggiare per le strade di Istanbul sia una esperienza ricca non soltanto dal punto di vista visivo: musica esce a tutte le ore del giorno e della sera dai negozi di cd e dai locali, quando non sono suonatori in strada ad allietare i passanti con le loro esecuzioni. Nell’aria si mescola il profumo del narghilé (la shisha, come viene chiamata qui), di spezie e di dolci.

Le visite imprescindibili sono state alla Moschea Blu (quasi azzurra all’esterno nella foschia della sera, e blu di decorazioni all’interno), Santa Sofia (ineguagliata nella cupola che sembra sollevarsi all’infinito e i mosaici che sanno rapirmi per ore), Topkapi (affollato al punto che abbiamo rinunciato a far la fila per vedere il Tesoro… ma abbiamo girato in lungo e in largo nell’Harem, dove – complice il minor afflusso di gente – si respira ancora un poco l’atmosfera del luogo riservato e “proibito”), la Basilica Cisterna (una enorme cisterna sotterranea dove si cammina su passerelle sollevate sull’acqua, fra colonne su cui l’illuminazione crea chiaroscuri affascinanti), il bazar delle spezie (dove ho fatto rifornimento di cumino, curry, zafferano, curcuma… ) e la torre di Galata al cui panorama avevo dato appuntamento quattro anni fa.

C’è stato tempo anche per una gita in battello sul Bosforo, fino a scorgere il punto in cui si unisce al Mar Nero; per il Palazzo di Dolmabahce, residenza del Sultano a partire dal 1856; per la Moschea di Solimano, che non avevo avuto modo di vedere in precedenza a causa di lavori di restauro… E poi naturalmente per passeggiare lungo Istiklal Caddesi, fotografare Istanbul dal ponte di Galata, perdersi nelle viuzze del bazar più autentico (quello non turistico, dove si succedono utensileria per la casa, oggetti in legno e vimini, vestiti da tutti i giorni e vestiti da cerimonia di chiaro gusto orientale…) ed entrare nel silenzio della piccola moschea di Rustem Pasa, nascosta e bellissima, splendida di decorazioni e deserta. Purtroppo invece non ho avuto tempo di tornare nella magnifica Chiesa di Cora, dove i mosaici bizantini si sono conservati al massimo del loro splendore, nè di contrattare nel Gran Bazar, cose che già avevo fatto nella mia prima visita ma che avrei rifatto volentieri. E non c’è stato tempo per rilassarsi all’hammam nè per scoprire i distretti asiatici di Uskudar e Kadikoy: Istanbul è enorme, e se è vero che Sultanhamet si può visitare correndo in un giorno, non basterebbe una settimana per esplorare tutti i molteplici aspetti della città.

La caratteristica più affascinante di Istanbul è proprio questa sua molteplicità: davvero a cavallo fra Oriente e Occidente, non solo dal punto di vista geografico ma anche per cultura e comportamenti. Troppo asiatica per essere occidentale, troppo occidentale per essere asiatica: in Istanbul convivono il canto dei muezzin e la musica dei locali notturni, i moderni ristoranti novelle cuisine e le tradizionali bancarelle con gli onnipresenti simitci (trecce di pane salato) e le ostriche ripiene, le donne con il capo velato e le ragazze con abiti succinti, bellissimi palazzi restaurati e vecchie case di legno abbandonate. Antico, nuovo, moderno, vecchio: tutto convive in Istanbul e coesiste e in un equilibrio magico, senza stonature, come una partitura musicale armonizza strumenti diversi.

Inoltre c’è la squisita gentilezza turca, che ti fa sempre sentire a casa o fra amici, e c’è una cucina ricca di verdure e di spezie che mi conquista ogni volta. Istanbul si è scavata un posto nel mio cuore, vi si è radicata con dolce tenacia. Il suo ricordo non può prescindere dal desiderio di ritorno e le poche ore di volo che ci separano dalla capitale turca ne fanno senz’altro un luogo accessibile anche per un week end.

Come al solito un collage di immagini (e altre su Flickr):

Istanbul

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3 Responses to “Istanbul così”

  1. Titti says:

    A Istanbul ci sono stata moltissimi anni fa. Il tuo racconto e le foto mi invogliano a tornare!! Grazie per aver condiviso!
    PS Finalmente sei tornata su questi schermi!! 😀

  2. alessandra says:

    Ciao Titti, giornate piene… ma finalmente anche il resoconto delle giornate ad Istanbul ha visto la luce 😉 baci

  3. Barbara says:

    io credo che la prossima volta in cui ci andrai, io mi appiccicherò come una cozza. non sto scherzando, mi piacerebbe moltissimo.
    un bacione ♥

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