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A ciascuno il suo… li.co.li.!

Tutto è cominciato circa 3 anni fa, quando ho iniziato a panificare con il lievito madre fornito da una amica. I risultati non erano eclatanti ma il pane era discreto e il procedimento adottato era gestibile nei miei risicati tempi liberi. Solo un paio di volte sono stata costretta a gettare via un sasso acido: le altre volte il prodotto delle mie fatiche era quanto meno mangiabile. Certo, del retrogusto vagamente acidulo non sono mai riuscita a liberarmi e l’alveolatura del pane mi era sconosciuta. Comunque, avrei certamente continuato lungo quella strada sterrata se non avessi lasciato morire il mio lievito. Morire senza speranza di resurrezione.

Fatto sta che  nel frattempo sono diventata mamma e per un anno l’ultimo dei miei pensieri è stato rinfrescare il lievito, impastare, lasciar lievitare ecc. ecc. Non ricordo quando ho deciso che quella “cosa” dimenticata in frigo andava buttata, ma contemporaneamente ho maturato l’idea di non procurarmi dell’altro lievito, bensì di provare a farlo nascere in casa. Poi fra il dire e il fare sono passati mesi, in quanto il tempo non è esattamente mio alleato…

Finalmente però è arrivato il giorno in cui mi sono procurata dello yogurt magro e farina…. Alt, faccio un passo indietro. Ho cercato a lungo su internet ricette per la realizzazione del li.co.li. (lievito in coltura liquida: perché abbia preferito dedicarmi a quello rispetto alla pasta madre solida non sto a spiegarlo perché si trova ampissima dissertazione in rete a tal proposito), interrogandomi sullo starter da utilizzare, la farina ecc. ecc.

Alla fine ho deciso di usare come starter uno yogurt magro biologico, seguendo la linea di Serena di Golosando… serenamente!. Però ho fatto di testa mia circa la farina. Dunque, la farina necessaria per creare e conservare un lievito dovrebbe essere una farina di forza, con un numero W che mai ricordo e che comunque mai trovo indicato sulle confezioni delle farine. Allora ho iniziato a basarmi sulla percentuale di proteine contenute, che dovrebbe essere proporzionale alla forza (più proteine, maggiore la forza della farina), cercando una farina con una percentuale di proteine pari o superiore a 12%. La Manitoba, che dovrebbe essere una farina fortissima, è intorno al 12%. Ma io avrei preferito una farina meno raffinata. D’altra parte, mi sono detta, un tempo si panificava solo con lievito madre e le farine non erano raffinate. Inoltre, la farina integrale dovrebbe essere nutrizionalmente più ricca, non più povera, delle farine raffinate! Non si troverà dunque una farina integrale con una buona percentuale di proteine? Curiosando sulla scaffale delle farine nel mio negozietto bio di fiducia ho trovato interessanti pacchi di farine di tipo 2 macinate a pietra e farine di grani antichi sempre macinati a pietra, ma senza alcuna indicazione della forza o della percentuale di proteine presenti. Poi ho trovato lei. Una farina integrale di Grano Khorasan Kamut con 14,5 gr di proteine su 100. E ora so che tanti grideranno “Orrore! Il Kamut è una bufala commerciale” ecc. ecc. ecc.  E’ vero, anche a me come principio dà fastidio il fatto che una azienda abbia registrato il marchio Kamut e di conseguenza tutti i prodotti che utilizzano questa varietà di grano antico costino di più rispetto ad altrettanto validi Senatore Cappelli o altre varietà non “monopolizzate”… il fatto è che sullo scaffale delle farine era l’unica integrale con una così elevata presenza di proteine. Quindi senza far troppe disquisizioni filosofiche l’ho acquistata e ho deciso che il mio li.co.li. sarebbe stato a base di farina integrale Kamut.

La gestazione è iniziata un Mercoledì sera. In linea di massima ho seguito il procedimento che trovate nel link indicato sopra, ma devo precisare che non ho rispettato in maniera fiscale le tempistiche. Anzi, sarebbe meglio dire che sono stata alquanto elastica nell’implementazione. Per confortare chi non ha la pazienza o la costanza o il tempo di seguire esattamente la procedura, posso svelare che alla fine il li.co.li è nato ugualmente.

Dunque, cercando di ricostruire come sono andate le cose direi che Mercoledì sera ho messo in un barattolo di vetro 20 gr di yogurt, 20 di farina integrale di Grano Khorasan Kamut e 20 gr di acqua minimamente mineralizzata (quindi con bassissimo residuo fisso). Ho mescolato energicamente con una forchetta e ho chiuso col coperchio. Il barattolo da me utilizzato è di quelli normalissimi che si usano per le conserve di marmellata o per i pelati, solo ho avuto l’accortezza di usare un tappo nuovo. Ho lasciato il barattolo in forno per cercare di tenerlo a temperatura più o meno costante. Non ho usato panni di lana o altro perché con il calore temevo che partisse sì la fermentazione, ma si sviluppasse altresì troppa acidità.

Risultato: dopo circa 24 ore non c’era nessunissima traccia di mutamento nel barattolo. Ligia alle istruzioni non ho aperto, mi sono limitata a shakerarlo un po’ per ricordargli che doveva mettersi al lavoro, e l’ho rimesso in forno (spento eh!).

La sera successiva c’era sempre calma assoluta all’interno del barattolo. L’ho aperto, aveva un buon odore che mi ricordava quello del lievito di birra. Nessun sentore di acido, ma neppure l’ombra di una bollicina. Ho comunque tolto un cucchiaino di intruglio e ho aggiunto 20 gr della solita farina e 20 gr della solita acqua. Mescolato un pochino con una forchetta, richiuso il barattolo e rimesso nel forno. Il giorno dopo (era Sabato) nel pomeriggio mi sono ricordata del lievito e di aver letto qualcosa come “da questo momento in poi potete tenerlo coperto soltanto con una pellicola bucherellata o con una garza”. Ecco cosa avevo dimenticato, il lievito in assenza di aria non cresce!

Ho preso il barattolo, dato una rinfrescata sempre togliendo un cucchiaino di impasto e aggiungendo 20 gr di farina e 20 gr d’acqua, mescolato con la forchetta e… e mi sono accorta di aver terminato la pellicola trasparente! In mancanza di pellicola (e di garze) ho pensato di chiudere il barattolo con un foglio di carta da cucina tenuto fermo con un elastico. Voilà, ho nuovamente messo in forno il barattolo.

Il giorno successivo era Domenica e il mio piccolo tesoro (no, non mi sto riferendo al lievito, bensì a mio figlio!) era malato. Di conseguenza, non ho pensato affatto alla creatura in forno. Verso sera improvvisamente me ne ricordo: lo prendo, tolgo la carta e…. le vedo! Sono loro, le bollicine che ho ammirato nelle foto su internet. Quelle dei lieviti veri.

Da lì ho iniziato la fase dei rinfreschi più intensa (travasando il lievito in un contenitore identico al precedente, ma più alto): un rinfresco la Domenica stessa con 30 gr di farina e 30 gr di lievito, poi un rinfresco la sera successiva tenendo solo 70 gr di li.co.li e aggiungendovi 70 gr di farina e 70 di acqua; un ulteriore rinfresco la sera dopo ancora (Martedì) sempre utilizzando 70 gr di li.co.li con 70 gr di farina e 70 gr di acqua. Mercoledì sera mi sono limitata a togliere un cucchiaio di materia appiccicosa, rinfrescare con 30 gr di farina e 30 gr di acqua, lasciare ancora un’oretta coperto solo con carta da cucina, per poi finalmente mettere il tappo al barattolo e infilarlo in frigo.

Ecco come si presentava il mio lievito prima di essere chiuso in frigo:

licoli

Per tutto questo tempo, non ho mai utilizzato le fruste da cucina ma solo la forchetta (cercando comunque di incorporare aria all’impasto). Lunedì e martedì, giornate in cui ho effettuato un rinfresco completo tenendo solo 70 gr di li.co.li di partenza ho buttato il lievito rimanente. Sì, avete letto bene: l’ho buttato. Non si fa, ma non avevo tempo di pensare a cosa farne.  Pazienza.

Devo ammettere che alla fine un pochino di odore acido si sente, ma una volta tolto un cucchiaio di composto, aggiunta acqua e farina e lasciato riposare per un’oretta l’odore torna ad essere piacevole.

Il sabato ho provato a panificare con il lievito nuovo e cercando di applicare (sempre con il mio principio di flessibilità) il metodo degli pseudo-rinfreschi (vedi qui). Circa il pane scriverò un post separato, sia perché questo è già di per sé infinito, sia perché vorrei prima semplificare un po’ il procedimento e possibilmente migliorare il risultato. Comunque posso anticipare che il pane non sapeva assolutamente di acido e (miracolo dei miracoli!) erano presenti delle discrete alveolature che negli anni precedenti neppure sognavo!

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