di Miguel de Unamuno E’ il 1914, in Spagna Miguel de Unamuno dà alle stampe Nebbia, romanzo o novella o nivola, nella parole che l’autore attribuisce al Vìctor Goti autore del prologo. Nebbia è infatti dichiaratamente uno scritto sperimentale, che infrange i canoni del romanzo mettendo in scena l’autore e facendolo dialogare con i propri personaggi, inserendo un prologo da
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Così ieri sera abbiamo debuttato a porte aperte, lezione di teatro al cospetto di un (non troppo folto) pubblico che ha assistito alle nostre improvvisazioni sui dove e sui chi. La prima improvvisazione si è svolta in uno studio medico e ne sono stata spettatrice, sorridendo per come i miei compagni hanno riprodotto dettagliatamente l’ambiente e per come hanno vissuto
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Milano è un grande videogioco, allucinazioni vi spuntano come funghi e non mi vedono, con i loro occhi grigiastri e la consistenza di una bolla di fumo. Soltanto io le raccolgo, con dita di velluto, per custodirle dietro palpebre di vetro. Il sole tenero e accogliente guida un girotondo verso il parco Lambro: che fosse così vicino, non mi ero
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di Gregory David Roberts In veste di turisti, visitando un paese non facciamo altro che scivolare sulla sua superficie, spesso senza riuscire ad intaccare l’immagine nitida e levigata che si propone ai nostri occhi. Questo penso leggendo Shantaram, che ci proietta sotto la pelle dell’India, in mezzo alle persone che vivono all’interno degli slum e a contatto con situazioni
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Anche Unamuno era un Bilancia. Chiaro, fin dalla prima pagina. Indefinitamente chiaro. Come la nebbia.
Cerchiamo nei libri: risposta a domande incerte, soluzione ad enigmi vissuti. Da altri. Consolazione, in fondo: conforto. Comunione, partecipazione. La certezza di non essere solo, solo ad avere sofferto. Motivazione, modulata spiegazione. Senso. Le parole non sono senso, non hanno senso. Insensibili. Il senso di chi legge: non troviamo nella pagina scritta ciò che non troviamo nelle nostre pagine. Mi
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Al pari della bellezza, la banalità sta’ negli occhi di chi guarda. E talvolta è bello fare la spesa, rientrare a casa, e stirare una pila di camicie. Le tue. Ora ho i capelli rossi e mi piacciono tanto. Sorrido perché sono sempre io, e sgranocchio cioccolatini.
Vivo in questa casa da dieci anni, i primi due mesi senza mobilio ad eccezione di un tavolo, la rete del letto e un vecchio comodino su cui stava il forno a microonde. I vestiti appesi in un armadio di plastica e la biancheria in grandi scatole colorate che in seguito avrei utilizzato per i costumi da danza. All’incirca in
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Una volta un’amica mi ha detto: “Hai uno stile molto personale nel vestire, molto riconoscibile”. Prima che me lo facesse notare lei, non me ne ero resa conto. Talvolta gli altri vedono in noi aspetti che noi stessi, compresi nella nostra identità, non sappiamo cogliere: li vediamo allora attraverso gli occhi altrui e li riconosciamo e accogliamo, oppure li allontaniamo
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Leggo una recensione, parla di un libro zeppo di poesie e di canzoni, che forse è un po’ la stessa cosa. Parla di autori a me cari, di cantautori e di altri che non ho mai sentito nominare o che non ho mai voluto ascoltare. Parla anche di una canzone che ho conosciuto solo nell’interpretazione approssimativa di mia nonna, che
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