Qualche giorno fa ho letto Le sedie di Ionesco. Mercoledì guardando la programmazione degli spettacoli della settimana vedo che è in scena al Teatro Studio del Piccolo. Telefono, ci sono ancora posti per venerdì, andiamo. A parte l’emozione data dal vedere rappresentata una pièce di cui si è appena letta la sceneggiatura, e di cui pertanto si ricordano le battute
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Io non parlo di attualità. Parlo di arte e cultura. Invero, di argomenti inattuali.
M’hai detto t’amo, ti dissi aspetta, stavo per dirti eccomi, tu m’hai detto vattene. (Jules e Jim, di François Truffaut) Non so dire se mi sia piaciuto Jules e Jim. Quel che posso dire è che mi ha inquietato. E non per il tragico triangolo, ma per i tratti del carattere di Catherine: quel voler sempre pareggiare i
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Lezione di teatro. A turno, un membro del gruppo diventa leader e conduce gli altri (coro) in movimenti sul posto o nello spazio. Il coro imita il più fedelmente possibile il leader, che finisce col cedere la leadership ad un altro membro del gruppo, e così via a turno. Fine dell’esercizio, l’insegnante: “A te piace più condurre o essere condotto?”
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Le cose non vanno mai come te le aspetti. Metti il week end di Sant’Ambrogio (che per il resto dell’Italia è il week end dell’Immacolata, ma a Milano pare che il patrono valga doppio…): quest’anno il calendario ci regalava 4 giorni festivi consecutivi, una manna che mi pregustavo di spendere in: messa in ordine della casa, giro per Milano con
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I film bisogna finirli, anche se alla cieca. Così ancora una volta piango davanti ad un film di Almodovar, e ad un tratto penso che probabilmente è il mio regista preferito. Così, a pochi giorni dall’aver individuato il mio scrittore in Garcia Marquez, trovo anche il mio regista. Incredibile, per una che non si è mai decisa ad indicare un
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Com’è la voce del cocker? Questa è la domanda che ho dovuto pormi martedì, al corso di teatro. Senza riuscire a rispondermi, ovvero senza riuscire a conferire alla mia voce un retro-timbro canino. Ora, però, da due giorni ringhio. Per fortuna è venerdì.
di Gabriel García Marquez Ci sono libri di cui dici “L’ho amato dalla prima riga all’ultima”. Riguardo a Cent’anni di solitudine sarebbe inesatto se mi esprimessi così. Non è stato amore a prima vista: è stato un amore sereno e appagante, consapevole come gli amori in maturità. Iniziai a leggerlo ai tempi dell’università. Lo abbandonai a metà del primo capitolo,
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Insomma, chiedo a me stessa: Dove sei stata per tutto questo tempo? Cosa hai fatto e soprattutto cosa hai riportato da un viaggio immobile, oltre al rimpianto di un tempo disfatto? Hai forse forgiato nel silenzio una voce che potesse parlare con timbro più forte? O forse soltanto hai dormito, perché gli occhi impreparati venissero abbagliati dalla luce più forte?
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Poesia che mi guardi, non so dove cercare le parole per esprimere le emozioni che mi ha suscitato questo film-documentario, il primo che abbia mai visto (o di cui abbia mai sentito parlare) ad essere centrato sulla poesia e sul suo ruolo all’interno della società. Non tanto, non solo, un documentario sulla vita di Antonia Pozzi: questo è piuttosto il
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