Finalmente ieri, ultima sera di Fuorisalone, esco a fare un giro in zona Tortona (abito a due passi dal centro degli eventi, ne subisco i disagi per il traffico e l’affollamento dei mezzi pubblici, e – prima per un motivo poi per un altro – non ero ancora riuscita a godere il beneficio di un’occhiata alle ultime tendenze del design).
Tardo pomeriggio, passeggiata tiepida e piacevole, esposizioni interessanti ma niente di eclatante (certo, arrivo tardi per il Temporary Museum of New Design, quello doveva essere bello ma alle 20 ormai è chiuso…). Insomma, sicuramente potevo trovare momenti migliori per il Fuorisalone, ma è comunque meglio di niente e poi ci sarà l’anno prossimo per recuperare (proposito di ogni anno).
All’altezza di Via Stendhal giriamo verso Solari. C’è un folto capannello di gente davanti ad un palco che ospita un dj, ma F. mi convince a passarci in mezzo: ci avventuriamo negli interstizi fra una persona e un’altra, e quando siamo proprio all’altezza del palco veniamo strizzati come un panno bagnato al grido collettivo “C’è una macchina che deve passare”.
Ora, io credo di soffrire di una forma più o meno latente di agorafobia, in aggiunta ieri sera non ero propriamente rilassata e di buon umore: fatto sta che inizio a vedere nero e mi mancano le gambe. Però sono talmente pressata contro i vicini che non potrei cadere a terra neppure svenendo (e ci manca poco). Al pensiero “Se svengo mi schiacciano” cerco di guadagnare un filo d’aria, a mo’ di mantra ripeto a me stessa “Non c’è nessuno intorno a me” e scaccio la vocina che dice “Non ti puoi muovere non ti puoi muovere non ti puoi muovere”.
Finalmente l’auto riesce a passare, vedo un pezzo di portiera grigia a circa 30 cm di distanza, io e “lei” separati da uno spessore di almeno 5 ragazzi-sottilette. Ci decomprimiamo come un polmone che riprende aria, riesco di nuovo a muovere alcuni passi anche se non vedo terra e non vedo fine di quella folla, se non guardando in alto il cielo che si è fatto indaco cupo. Seguo F. con le gambe ancora molli, usciamo finalmente su via Savona mentre i Motel Connection attaccano a suonare.
Ecco, questa è la mia esperienza del Vertical Stage. Una bella idea, innegabilmente, ma perchè farlo in un tratto dove la strada è un imbuto? Dove la via non è chiusa al traffico? Probabilmente dovrei anche chiedermi perchè decidere di attraversare la folla anzichè fermarsi un po’ in disparte ed ascoltare, ma su questo punto sorvoliamo….
Penso che sono snob e non ho più l’età… ma forse mi dico, per queste cose non l’ho mai avuta.
ero lì anche io. solo un po’ prima, quando non c’era ancora nessuno.
ah allora abbiamo ripreso l’abitudine di essere negli stessi posti a poche ore di distanza 😉
eh. peccato. 😉
….mai avuta quell’età lì. enemmeno mai la vorrò.
baci 😀