di E. De Luca
Un uomo fattosi giardiniere sulla mezz’età, il profumo della salvia, del basilico e del prezzemolo nelle calde giornate di un’estate incipiente, i segni del passato come rughe nette e orizzontali all’attaccatura del collo, il movimento del cucchiaio che si intona allo sfogliare di pagine usate, un nuovo amore improvviso che unisce le proprie emozioni a sentimenti lasciati alle spalle insieme a giorni trascorsi: da questi punti si snoda Tre cavalli, un romanzo breve o racconto lungo, nello stile essenziale che è proprio di Erri De Luca.
Parole scelte con cura, frasi che evocano sensazioni, atmosfere, colori e odori grazie alla loro concreta esattezza: davanti agli occhi del lettore scorrono immagini vivide evocate da pochi sapienti oggetti e gesti quotidiani che di per sé hanno più forza di lunghe descrizioni. Nei momenti di maggior intensità emozionale, la scelta di nominare solo particolari all’apparenza secondari rafforza la presenza emotiva dell’oggetto/soggetto lessicalmente assente. Così di Dvora rimane l’istantanea di un paio di scarpe da tennis ancora allacciate, mentre Selim è una camicia nuova nelle parole della passante che lo ha visto allontanarsi.
Il passaggio del tempo è scandito dalle vite del cavallo, perché la vita di un uomo dura quanto quella di tre cavalli, e la metaforica morte di un cavallo sembra scandire la fine di ogni fase. Non è la prima volta che mi accade di osservare nei libri di De Luca come la sostanza vada oltre la trama: valori antichi e radicati nel sangue e nella terra, come la lealtà e la riconoscenza, il rispetto e la fedeltà prima di tutto a sé stessi, sono protagonisti della storia al pari delle persone che li portano addosso.
Come sempre annoto frasi che mi piace rileggere, e di Tre cavalli voglio citare un passaggio che racchiude un tema caro a De Luca, in quanto proprio ai libri si riferisce:
Leggo gli usati perché le pagine molto sfogliate e unte dalle dita pesano di più negli occhi, perché ogni copia di libro può appartenere a molte vite e i libri dovrebbero stare incustoditi nei posti pubblici e spostarsi insieme ai passanti che se li portano dietro per un poco e dovrebbero morire come loro, consumati dai malanni, infetti, affogati giù da un ponte insieme ai suicidi, ficcati in una stufa d’inverno, strappati dai bambini per farne barchette, insomma ovunque dovrebbero morire tranne che di noia e di proprietà privata, condannati a vita in uno scaffale.
bellissima.. è veramente molto bella.. – io da ragazzina andavo in biblioteca.. i libri non li compravo.. li prendevo per un pò.. – oggi però è diverso.. quei pochi che leggo.. sono quasi un pò sacri… forse proprio perchè pochi.. – e uno passato da mille mani.. non so.. – forse io.. per questo.. non ho più l’età :o) serena serata