di Raymond Queneau
Con un incipit quasi leggendario (Il venticinque settembre milleduecentosessantaquattro, sul far del giorno, il Duca d’Auge sali in cima al torrione del suo castello per considerare un momentino la situazione storica. La trovò poco chiara.) Queneau ci proietta in un tempo storico e al contempo onirico, da dove origina il romanzo I fiori blu. Il duca d’Auge, co-protagonista del libro, attraversa la Storia comparendo di capitolo in capitolo in epoche diverse (ad intervalli di 175 anni, come osserverà Italo Calvino nella post-fazione all’edizione italiana da lui tradotta), intervallando le sue vicende a quelle di Cidrolin, personaggio contemporaneo, parigino residente su una chiatta immobile ormeggiata sulle rive del Quai. All’addormentarsi dell’uno compare l’altro, personaggi speculari (anche per via delle figure e delle storie che li circondano) o proiezione onirica l’uno dell’altro: ma è il passato a sognare il futuro o il futuro che sogna il passato?
L’opinione diffusa su I fiori Blu lo vede come un romanzo incentrato sullo sfaldamento della storia, ma al di là dei temi certo ricorrenti della storia e del sogno (Rêver et révéler c’est à peu près le même mot, si trova ad un certo punto del romanzo…) credo che fondamentalmente I fiori blu sia un grande divertissement, un libro in cui Queneau ha dato prova delle sue capacità di giocare non soltanto con la lingua ma anche con la trama e con l’ipertesto, attraverso i numerosi riferimenti alla quotidianità. Si va dalla citata frase che rimanda alla psicanalisi e all’interpretazione dei sogni, ai riferimenti alla linguistica (Io chiamo così una così quindi la cosa viene chiamata così, e dato che è con me e non con un altro che lei sta parlando in questo momento, le conviene prendere le mie parole nel loro aspetto significante), come pure ai tanti giochi di nomi e di parola che rimandano a episodi o personaggi coevi a Queneau.
La straordinaria abilità di Queneau di lavorare sul linguaggio lo rende un autore che andrebbe letto sempre in lingua originale, ma la traduzione che ne ha fatto Calvino è encomiabile per capacità di adattare espressioni e giochi linguistici rendendoli apprezzabili al lettore italiano. Come nelle migliori traduzioni, Calvino non segue pedissequamente l’esteriorità del testo, ma lo reinventa cogliendone lo spirito e adattando la forma ad un materiale linguistico diverso.
Fragilità delle grandi illusioni e consistenza delle piccole verità.
La vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere meglio? 🙂