L’aria di polvere bagnata è quella delle estati ormeasche di trent’anni fa. Il cielo a strappi improvvisi di Hamilton Island, e sono tre mesi, quando una parete di pioggia s’è rovesciata davanti alle nostre colazioni riparate da un tetto di paglia. E questo monumento inatteso di roccia e neve esplode nel cielo lavato a nuovo così che lo spazio torna ad essere un’astrazione sopprimibile.
Presente e distante cortocircuitano in questo tramonto che l’acquazzone ha dipinto di colori troppo accesi.
L’iPhone ha annientato i tempi vuoti, che poi sono gli angoli dove si annida il pensiero. Le dita danzano e tamburellano, ma non emetto suono. Ho tradito le promesse a me stessa, non ho ancora accordato il pianoforte.
I temporali primaverili metton sempre un’insana, fredda, tranquillita’.
Si percepiscono solo i segnali dell’approssimarsi della piccola apocalisse e beffardo guardo chi tenta di recuperare l’irrecuperabile. Non si impara, non si dimentica, ha la forte tendenza a ripetersi.
Oggi sole, domani pioggia, ma la prefersico decisamente all’imbrunire.
Glitch