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The Real Maine Experience

MaineServirebbero diversi post sul New England, una striscia di stati anomali nel panorama americano e molto diversi fra loro stessi. Invece la consueta pigrizia mi porta a scrivere poco e tardi e quindi non racconterò dei padri pellegrini che ancora si aggirano per le vie di Boston e di Plymouth, delle ortensie viola di Chatham e delle bandiere multicolore di Provincetown, dell’oceano arrabbiato di Gloucester (il paese di Tempesta perfetta) e del rosso capanno di pesca di Rockport: tralascerò tutto questo per correre direttamente al Maine, ultima tappa del mio viaggio estivo.
In Maine ci sarebbe la casa della Signora Fletcher, se non fosse finzione cinematografica. C’è invece, sicuramente, la casa di Stephen King, circondata da una cancellata kitsch con l’immagine del pipistrello (non sono andata a curiosare di persona, ma ne ho visto le foto). L’atmosfera che si respira nel nord del Maine spiega come certe idee possano essere venute allo scrittore: la nebbia bianca e densa che avvolge le cose come un lenzuolo al mattino suggerisce contorni incerti, mentre nel pomeriggio si insinua ancora improvvisa dal mare, spingendosi sulla terraferma sotto forma di piccoli cumuli freddi che avverti passare sulla pelle come una presenza concreta e inquietante.
Il mare è calmo nel porto, ma appena ti allontani dalla riva diventa minaccioso e sballotta le imbarcazioni di pescatori che si spingono al largo fra isolotti che compaiono e scompaiono nella foschia. Se sali sulle cime montagnose, un vento freddo spazza l’aria e regala tramonti dorati, mentre lo sguardo esplora una terra che sfuma nel mare e cambia forma in virtù dei banchi nebbiosi che si spostano.
Boschi di conifere quasi affondano le loro radici nel mare, la strada corre fra alberi altissimi e al di là si intravvedono specchi di acqua blu, laghi e lagune e costa oceanica. Le casette isolate lungo la statale hanno cortili ricolmi di oggetti dismessi, vecchiume in vendita sotto il cartello “Antiques”, e barbecue enormi e alci di plastica o di gesso a dimensione naturale, mentre grandi insegne “Maine lobster here” indicano la presenza di piccole tavole calde.
In Maine è pieno di italiani, non in vacanza (il Maine è luogo di villeggiatura soprattutto per americani, molto meno per europei) ma trasferitisi provenendo da Roma o da Milano: italiani che hanno aperto attività commerciali, negozi ristoranti gelaterie o bed&breakfast, e discendenti di italiani immigrati un secolo fa.
Poi arrivi in un paesino isolato al fondo di una delle tante penisole che frastagliano la costa del Maine, un paese conosciuto (si fa per dire) solo per i campi di mirtilli che lo circondano e che gli danno il nome: Blue Hill. Lì per caso trovi un delizioso café con pochi tavolini e cucina casalinga. La proprietaria si dice “italiana di Boston”, ovviamente parla soltanto americano e ci invita a gustare le specialità della casa: zuppa di granchio, lobster sandwich (definito il migliore in tutto il Maine da alcune riviste) e blueberry cobbler, una sorta di sformato di mirtilli imparentato con la torta di nonna Papera. Ti saluta dicendo “Now you can say you had the real Maine experience” e ti invita a cercarla su Facebook e aggiungerla agli amici. E tu risali in macchina e te ne vai contento, su quelle strade che si addentrano fra gli abeti mentre il cellulare inesorabilmente segna “No service”.

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