Entrare alla Scala è un’esperienza unica, una emozione grandissima, che comincia già dall’attesa dell’apertura delle porte, sotto il loggiato, fra signore in abito lungo e turisti che si fotografo davanti al cartellone. Quando poi le porte si aprono ed entriamo nell’ingresso, il salto nel passato si compie: il foyer è stato restaurato nel suo splendore originario e le maschere in vestito di foggia antica si aggirano fra il pubblico. Ma è la vista del teatro a togliere il fiato: l’avevo visto tante volte in fotografia, sui giornali, sui francobolli persino… ed ora eccomi lì, fra le poltroncine rosse della platea, circondata dai palchi che si chiudono a semicerchio intorno a noi. Conto ben sei piani fino all’ultima galleria, non pensavo che fosse così alto… anche se lo immaginavo più ampio.
Lo spettacolo inizia puntualissimo, alle 19.30 spaccate. E’ in scena la Manon Lescaut, opera musicata da Puccini su libretto francese di Jules Massenet (ma niente paura, la traduzione italiana scorre sullo schermo attaccato allo schienale del sedile davanti…). Premetto che non sono una esperta di opera, anzi, non sono nemmeno lontanamente una conoscitrice: le mie reminiscenze di opera risalgono alle lezioni di musica alle medie. All’epoca ero appassionata soprattutto alla lettura delle trame (avevo un gusto melodrammatico!): ricordo che più tardi mi feci regalare il dizionario della musica, motivandolo con i miei studi di pianoforte, e lessi tutte – tutte! – le trame di opera che vi erano descritte. Comunque, tornando alla mia ignoranza in materia, della musica di Puccini ricordavo solo qualche brano della Madama Butterfly (credo i pezzi d’opera più noiosi che mi sia mai capitato di ascoltare). Tutto ciò per dire che non sapevo esattamente cosa aspettarmi (tra l’altro, l’unica altra opera che mi sia capitato di vedere ed ascoltare dal vivo è stata l’Aida, molti anni fa, a Verona).
Insomma, lo spettacolo non si fa attendere (adoro questa puntualità!), si aprono i tendoni e già dalle scenografie, dai primi costumi, dalla numerosità delle comparse si capisce che non è una rappresentazione qualunque… la fama della Scala non si smentisce! La durata di tre ore e quarantacinque (che mi avrebbe spaventato se l’avessi appresa prima di arrivare) in realtà scorre leggera mentre ci appassioniamo alla vicenda della bella e sventata Manon. Naturalmente, la trama avulsa dall’opera desterebbe più di una perplessità: i sentimenti, i desideri, le passioni sono stilizzate, ridotte all’osso, private di spessore e ingigantite nella manifestazione. Il pathos arriva dalla musica e dal canto, che trasporta al punto che d’improvviso mi trovo a piangere (e v’assicuro, non sono la storia in sé né le parole a portare alle lacrime). Per quanto valga il giudizio di una non intenditrice, i cantanti sono davvero bravi (il soprano che canta la parte di Manon è splendida) e persino la musica lieve di Puccini che una volta mi sembrava noiosa ora mi affascina.
Naturalmente, il tutto è reso ancora più magico dal fatto di trovarmi in un teatro così ricco di storia, dove davvero il tempo sembra essersi fermato per regalare agli spettatori un emozionante giro nel passato. Sicuramente la mia prima volta alla Scala non ha tradito le aspettative… Ora resta la voglia di tornare nella prossima stagione, magari per vedere un balletto.
Non amo la lirica e l’opera ma entrare alla Scala è davvero un’esperienza unica. Ricordo la mia prima volta quando avevo 10 anni. E ricordo anche l’ultima, 20 anni fa con Riccardo Muti.
E’ il teatro chiuso con l’acustica migliore del mondo. (Quello all’aperto pare sia l’arena di Verona)
Un abbraccio