La critica non è stata tenera con To Rome with love, l’ultimo film di Woody Allen uscito in Italia venerdì. Hanno detto che il regista era stanco, senza ispirazione, che riprendeva idee già utilizzate… Io dalla mia umile posizione di spettatrice dissento dalla totale stroncatura degli esperti blasonati e affermo di averlo trovato divertente. Sebbene i temi non siano particolarmente originali, pure sono trattati alla maniera di Allen, quindi con una certa genialità, che qui diventa la genialità del paradosso, del surreale, quasi si direbbe del nonsense visivo…
La trama è inconsistente: un vigile urbano che alloggia sopra Piazza di Spagna racconta le storie di Roma: le conosce tutte, perché quando le persone sono innamorate – dice – vanno sempre a Piazza di Spagna. Così si intrecciano (o meglio, scorrono parallele senza mai incontrarsi) quattro storie, il cui leit motif però non è l’amore, ma il desiderio o il rifiuto del successo, dell’affermazione sociale, della notorietà.
Hayly e Michelangelo: lei americana, lui romano (di origini napoletane). Si innamorano e fanno incontrare a Roma i rispettivi genitori. Da un lato abbiamo una psichiatra e un regista di opere liriche in pensione e ossessionato dalla morte (uno spassosissimo Woody Allen). Dall’altro ci sono i genitori di Michelangelo, il cui padre fa guarda caso l’impresario di pompe funebri, ma è dotato di una voce eccezionale che rivela sotto la doccia. Ci regalano secondo me le situazioni più divertenti del film, con Woody impegnatissimo a voler fare del consuocero un cantante di successo, nonostante la sua avversione a cambiare vita o a cantare in pubblico.
Jack e Monica: lui è uno studente americano di architettura, che vive a Roma con la fidanzata Sally, lei (aspirante attrice) è una amica di Sally che viene a Roma per riprendersi dopo la fine di una storia d’amore. Monica ha fama di essere una seduttrice, infatti inizierà fin da subito ad incantare Jack con i suoi racconti, le sue frasi ad effetto, le sue pose malinconiche. Tutta la vicenda è introdotta da John, affermato architetto statunitense che ha vissuto a Roma da studente e che vi torna in visita insieme alla moglie e ad una coppia di amici: girovagando da solo per le vie di Roma ritorna nei pressi della sua vecchia casa e vi ritrova sè stesso da giovane (Jack appunto). Alla storia fra Jack e Monica, John contrappone il suo punto di vista maturo e disincantato, denunciando ogni volta all’ingenuo Jack l’artificiosità della ragazza, che non appena ha occasione di afferrare un lembo di successo ottenendo una parte in una produzione cinematografica e lavorando con personaggi famosi, si dilegua. Mi sorprende come in tutte le recensioni si parli di John come di un “amico” di Jack, di un “fantasma” che appare per dargli consigli e giudizi: Jack è John da giovane, d’altra parte (come dice Oscar Wilde ne L’importanza di chiamarsi Ernesto) Jack è notoriamente un diminutivo di John. John si rivede e ripercorre mentalmente la sua vecchia storia, guardandola con il distacco, la consapevolezza e una certa compassione dati dal tempo (non peraltro il ricordo parte non solo dal ritrovare la strada della sua giovinezza, ma anche dall’espressione “malinconia di Melpomene” che riporta John indietro nel tempo).
Leopoldo Pisanello e la moglie: altra fonte di situazioni comiche e del tutto paradossali, Pisanello (interpretato da Benigni) è un uomo qualunque, che si ritrova dalla sera alla mattina famoso, anzi famosissimo, e che altrettanto rapidamente perde la propria fama fino ad essere a malapena riconosciuto per strada come “quello che una volta andava in televisione”. Esilaranti le interviste sul nulla a Pisanello: il nucleo della riflessione sta nella conversazione con l’autista, nella domanda che Leopoldo gli pone: “Ma io, perchè sono famoso?” e nella risposta: “Lei è famoso perchè è famoso“. La satira sul successo immeritato e sulla vacuità di molte trasmissioni televisive è fin troppo evidente.
L’ultima coppia è formata da Milly e Antonio, giovani sposi che vengono a Roma da Pordenone con il sogno di ottenere un importante lavoro per lui, grazie all’amicizia degli zii con persone molto in vista. In questo caso abbiamo una commedia degli equivoci che ci mostra un altro volto dell’amore e che fa naufragare i sogni di successo della coppia.
Il cast è pieno di volti noti (americani e italiani), ma l’interpretazione più riuscita rimane per me quella di Woody Allen (d’altra parte, il suo personaggio è sempre il medesimo da anni, fino a sovrapporsi con sé stesso). Benigni è calato in un ruolo meno esplosivo del suo solito, ma è efficacissimo nel mettere in scena lo smarrimento di chi viene inspiegabilmente e improvvisamente proiettato alla ribalta delle cronache (come pure la frustrazione di chi perde la notorietà). La critica lo ha considerato “ingabbiato”, io invece ho visto una interpretazione che deve molta della sua comicità nell’essere trattenuta (infatti esplode alla fine).
In definitiva, To Rome with love è un film che consiglierei tranquillamente, non foss’altro che per discuterne e non ripetere i giudizi che si leggono in giro.
Pensa che volevo andarlo a vedere due giorni fa al cinema Dante di Imperia…. Poi, per varie ragioni non siamo andati. Andremo a Milano.