I-pre-testi

Ieri sera ho terminato di leggere Il giocatore invisibile. Chiudo gli occhi sullo sguardo del Professore che commisera sé stesso nell’altro, in testa il pensiero che a lasciare non è chi effettivamente lascia, ma chi viene lasciato. Ci proiettiamo, costantemente. Proiettiamo le nostre aspettative, i nostri desideri, e in definitiva noi stessi. Vediamo coincidenze, scopriamo analogie: proiezioni, che ci fanno
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Il giocatore invisibile

di Giuseppe Pontiggia Sullo sfondo di una Milano anni Settata, dove l’odierno centro quasi è periferia, Pontiggia colloca il suo romanzo all’interno di un ambiente di professori universitari venato da rivalità sotterranee. La pubblicazione su una rivista letteraria di una lettera denigratoria che accusa il Professore di non conoscere l’etimologia corretta della parola ipocrita scoppia come un caso di cui
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Di invisibili giochi

Poi inizio a leggere Il giocatore invisibile di Pontiggia, e trovo la scena del Professore che passa la lettera denigratoria all’epidiascopio nel tentativo di individuarne l’autore, analizzando l’utilizzo di questo o quel termine. Quando si dice le coincidenze. Che pure andando avanti a leggere trovo anche questa preziosa frase: Reticenza e silenzio a volte dicono di più che le parole.
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Novilunio di settembre

Capita che io non riconosca un volto o una voce o un profumo, ma difficilmente sbaglio nel riconoscere un modo di esprimersi e di scrivere. Si potrebbe dire che riconosco le persone dalle loro parole, da quei sostantivi, aggettivi, avverbi e verbi che usano. Perché tutti noi ne usiamo alcuni con una ricorrenza che diventa la nostra cifra espressiva, per
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Internet è reale

Il mio primo pc risale agli Anni ‘90. Un catafalco con il monitor enorme e il display piccolissimo. Si accendeva su una schermata blu, con un underscore biancastro che lampeggiava per un po’ prima di dare l’avvio ad una delle prime versioni di Windows. Sulla tastiera di quel bestione battevo gli appunti da tenere a mente per passare l’esame di
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Avrei pagato le stelle

Avrei pagato le stelle a dirmi nel respiro denso della notte che di giocolieri tristi che fummo non v’era gioco, mentre palleggiavamo i giorni su un orizzonte ricurvo pronto a chiudersi rapido sui nostri ieri imperfetti. Ora non sono più cielo se le stelle non hanno parole che sappiano tessere reti su storie finite. Solo il silenzio è risposta consona
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Illuminazioni

Poi ho capito che non c’era niente da capire. Lampeggiano le parole quando dischiudono verità che dormivano in noi.

Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria…

De André canta De André Pensavo che avrei pianto. Invece sono felice.

Ricordando Kyoto

Volevo parlarvi della magia di Kyoto, ma da che sono tornata le giornate sono trascorse così convulsamente che non ho avuto tempo di scrivere neppure la metà delle cose che mi sono passate per la testa, e certo non il tempo di cercare le parole per emozioni così intense come quelle che ho vissuto in Giappone. Riordino le foto, quelle
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Ancora Milano

Siccome l’articolo letto sul Corriere questa mattina (v. post precedente) e la “distinta signora alla finestra” (sempre v. post precedente) mi hanno provocato una rabbia tale da concretizzarsi in crampi allo stomaco, per sbollire e ritornare alla serenità ho gustato un pranzo in terrazza in Rinascente, con vista sul Duomo. Sì, lo so, il concetto di pranzo cozza con i
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