Ieri sera, l’Aurelia un nastro nero tirato da un capo e all’altro della Liguria. La luna bianca, splendente nell’aria tersa, versa bagliori d’argento su un mare che s’abbraccia al buio. Quante volte ho percorso questa strada, nei tempi sospinti col piede sull’acceleratore, quando il futuro non era che una domanda! Parole e gesti lampeggiano, intermittenze schiudono veloci spiragli sul mistero
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Il marmo è inflessibile, e le ginocchia dopo un po’ fanno male. Immergo la spazzola nell’acqua del secchio, poi strofino la macchia scura sullo scalino. Una macchia dopo l’altra, una macchia dopo l’altra: l’acqua nel secchio è nera. Mi alzo per gettarla via, ritorno con acqua pulita e un riflesso di aloe saponaria. Lavo, questi scalini protesi verso una cattedrale
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Le tue parole aguzze come pietre spietate sono rete che pesca la mia anima che guizza e le branchie impazzano inalando il Fatto.
Milano, in quei giorni di metà estate in cui l’aria cola pesante e vischiosa fra le case, riempiendo le strade deserte con passo sordo e affaticato. Milano, in quelle mattine fredde che forse ancora è un po’ notte, così come ancora è un po’ inverno, e le foglie sui rami si affacciano timide appena. Milano, in quel susseguirsi di vie
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Siamo Esseri nel Nulla essenti: dal niente provenienti, immersi nel nulla, e nel niente disfacenti. Ma in questo raro istante noi soltanto e per davvero esistenti.
Quello che provo stretto nella mia manica, un fazzoletto ripiegato e già troppo usato. Le parole che dico, vuoto rimbalzare di pensieri intrappolati in vicoli ciechi. Ma i miei occhi solo un cielo terso dietro cui si celano i monsoni del cuore.
Le tue labbra, primule di questa stagione riposale sulle mie sfiorandomi, come desiderio che si accarezza nei propri sogni. Addormentale alle finestre curiose dei miei occhi inquieti, soffiando distillato il tuo sorso di pace. Placale in piccoli morsi di mutuo desiderio, tracciando strade dove non ci son confini. Le tue labbra, da sole sapranno andare mentre
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Tocco e rintocco, altalena a singhiozzo o giostra girevole per pappagalli scalzi: io scendo qui. Mezzanotte di un giorno senza ritorno: attendo ma invano, mentre scorre la vita, ma piano. Dillo allora, o taci per sempre: non solo la mia, è la tua vita che si rapprende. Sfoglio le ore ma tu le allontani, le strappi di
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Saranno mie, le tue [paure] fra premure di baci sopiti. Ti sfioro. Ho sete della tua vita: vampiro d’amore, per manto di nota incoscienza. Premuto contro di me, il tuo [destino] disegno di sanguigna con colore di passato nell’odore del mattino. I fiori del gelsomino sono apparsi su tenui rami spezzati. Sciogli fra le mie braccia
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Confusi tra sterpi bruciati e secchi residui di foglie gialli tulipani dell’anima tendono tenui avvisaglie. Gelata di lungo inverno si attenua ai tiepidi raggi: sfoggio colorata corolla, ignota al futuro, messaggi. Si schiudono occhi di miele, porpora i miei petali fragili. Sguscia il gheriglio intorpidito ed il peggio infine è passato.
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